Crisi, ripristino della sovranità monetaria


CRISI: IL VERO PROBLEMA NON E' L'ITALIA MA L'EUROPA E L'ASSENZA DI SOVRANITA' MONETARIA
E' cambiato il governo in Italia, ma usi e costumi del direttorio franco-tedesco non cambiano. Prima Sarkozy e Merkel ridevano in conferenza stampa dei nostri destini, ora il primo ha rimandato senza motivo la trilaterale di Roma, e la seconda ha inviato a Monti un messaggio inequivocabile: arrangiatevi. 
Eppure, nell'intervista rilasciata al Financial Times alla vigilia del vertice con Cameron il premier italiano aveva posto delle questioni per nulla peregrine, chiedendo al governo tedesco di fare di più soprattutto sul fronte dei tassi di interesse dei debiti sovrani. Ma Berlino non intende recedere dalla linea dura portata avanti fin dal momento in cui si è aperta la crisi, che esclude qualsiasi possibilità di intervento della Bce. 
Una posizione, quella tedesca, che elude una realtà incontrovertibile, e cioè che l'Italia, prima con Berlusconi e ora con Monti, sta già facendo pienamente il suo dovere, e che l'intervento chiesto dall'attuale presidente del consiglio non era un favore a noi, ma all'intera Eurozona.
Resta, sullo sfondo, un diverso approccio al modo di traghettare l'Europa fuori dalla crisi: l'Italia è convinta che sia necessario non solo il potenziamento del Fondo salva Stati, ma anche un maggior margine di manovra all'Eurotower, ossia alla banca centrale europea, che dovrebbe avere la possibilità di agire, al pari della Fed americana, come prestatore di ultima istanza. 

La situazione è del tutto paradossale, e ricorda molto da vicino quella del luglio scorso, quando il governo Berlusconi varò una manovra che tutti i principali organismi internazionali giudicarono ottima, portando ad esempio l'Italia come Paese che, pur gravato da un enorme debito pubblico, riusciva comunque a tenere in ordine i conti dello Stato (considerazione poi avvalorata dal rapporto deficit-pil, che nel 2011 è sceso al 2,8%, il migliore dell'Eurozona dopo la Germania). 
Ebbene, subito dopo arrivò la gelata, con la necessità di altre pesanti manovre correttive. Oggi sta accadendo una cosa molto simile: com’è possibile, infatti, che nel giro di pochi giorni, da una pagella positiva data all’Italia dalla Merkel e dalla Bce sulla manovra Monti si sia passati a un declassamento di ben due punti del rating italiano da parte di Standard & Poors? 
La risposta può essere solo una: evidentemente, le indicazioni del direttorio franco-tedesco non sono sufficienti a convincere mercati e agenzie di rating. Quindi, è in atto un corto circuito che dimostra come nessuno sia in grado in questo momento di governare la crisi finanziaria. E' evidente, a questo punto, che il problema non è Roma, ma l'Europa, ripiegata sulle sue contraddizioni e indebolita da una moneta unica che non ha alle spalle una Banca centrale in grado di sostenerla. 

Il risultato, per l'Italia, è sconcertante: dopo due mesi e mezzo di vita, il governo salva-Italia sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare ha ricevuto un rating negativo che è di due volte inferiore a quello del governo Berlusconi. Questo significa che non possiamo continuare a prendere ordini né dalla Merkel né, soprattutto, da un Sarkozy degradato da Standard & Poors e sull'orlo di un tracollo elettorale.

Commenti

Alex Cioni ha detto…
Liberalizzazioni, ma per le famiglie

Il piano di liberalizzazioni sul tavolo del governo appare tanto ambizioso quanto velleitario. Non corrisponde a ciò che hanno chiesto nell’estate 2011 la Bce e successivamente la Commissione europea; e soprattutto non si capisce in che modo potrà contribuire alla crescita del Pil e ai risparmi delle famiglie.

Ci spieghiamo meglio. Un conto è riformare il mercato del lavoro e liberalizzare una serie di servizi pubblici, a cominciare da quelli locali, che a loro volta influiscono sui costi delle utenze domestiche. Mentre la riforma del mercato del lavoro può riportare investimenti stranieri (o tenere in Italia quelli nazionali) e rilanciare la produttività smarrita nell’ultimo anno.

Ma taxi e farmacie in che misura possono contribuire alla crescita? Davvero pensiamo che il bilancio delle famiglie sia determinato dalle licenze dei tassisti o dalla possibilità di acquistare farmaci al supermarket? Ciò che fa la differenza è il prezzo: a quelle (poche) famiglie che si servono dei taxi interessa il costo della corsa, non il numero delle licenze. Stessa cosa i medicinali: ciò che conta è quel che si paga per l’aspirina, non dove viene venduta.

L’esempio delle agenzie immobiliari e degli sportelli bancari dovrebbe essere illuminante. Le nostre strade ne sono piene, eppure gli affari scarseggiano sul fronte degli immobili mentre i costi bancari aumentano. Non solo. Come ha scritto più volte il Sole 24 Ore, ogni liberalizzazione di massa ha, inizialmente, dei costi, anche sociali. Mentre gli eventuali benefici si vedono nel giro di alcuni anni: chi dovrebbe mettere questi quattrini?

E qui si torna all’inizio. L’Europa ci ha chiesto (per scritto) di riformare due cose: il mercato del lavoro ed i servizi pubblici locali, a cominciare da quelli domestici. Il centrodestra aveva iniziato un’operazione significativa, partendo dai contratti di lavoro; mentre aveva difeso la logica dell’efficienza per le utenze domestiche ed i servizi alle imprese. Il referendum sull’acqua sponsorizzato dalla sinistra è andato nella direzione opposta, così come – e ancora di più – nelle manifestazioni di piazza sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Dunque, meglio sparare sui tassisti.