Saldi di stagione

Agire subito, politicamente, per impedirlo
SALDI FINMECCANICA, L'ITALIA IN SVENDITA

L’Italia mette in vendita i gioielli di famiglia? C’è chi si è già fatto sotto: magari anche sperando che, come accade quando una famiglia è in difficoltà, si possano fare buoni affari giocando al ribasso. Di privatizzare parti delle grandi compagnie pubbliche italiane s’è parlato più volte di recente.
In molti in giro per il mondo avranno fatto un pensierino su Finmeccanica, il gruppo nel quale sono concentrati alcuni dei business italiani più ricchi, tutti in settori ad altissimo contenuto tecnologico: dalla difesa all’aerospazio ai trasporti ferroviari. I francesi, poi, sono passati rapidamente all’azione. Nei giorni scorsi Luc Vigneron, numero uno di Thales (società francese che è già in affari con Finmeccanica) è stato in Italia. Ha messo gli occhi su due gioielli di caratura importante.
Il primo è la Oto Melara di La Spezia, che produce sistemi di arma: è conosciuta in tutto il mondo soprattutto per i cannoni navali, e fornisce le Marine militari di cinquanta Paesi in giro per il globo. Per intenderci, ha clienti dagli Stati Uniti all’Australia. Impiega 1200 persone, nel 2010 ha prodotto ricavi per 414 milioni di euro, forte di un portafoglio ordini di 461 milioni.
Secondo gioiello, la Wass di Livorno. Un altro pezzo di storia dell’industria bellica italiana e mondiale, uno dei principali produttori italiani di siluri. Fu proprio il papà della Wass, l’ingegnere inglese Robert Whitehead a fondare l’azienda nel 1875 a Fiume, allora nel territorio dell’Impero austro-ungarico: si chiamava Torpedo fabrik von Robert Whitehead, ed era il primo impianto al mondo per la produzione di siluri. Il via libera alla nuova arma era arrivato da una commissione della Marina Imperiale austriaca, e per quella l’azienda lavorò per tutta la Grande Guerra fino a che Fiume, nel 1924 non passò all’Italia. Il gruppo fu rilevato allora dall’ingegnere italiano Giuseppe Orlandi. Dopo la seconda guerra mondiale, persa Fiume in favore dalla Iugoslavia, il Silurificio Fiume (così lo aveva ribattezzato Orlandi) fu trasferito a Livorno, dove nel frattempo aveva aperto una filiale. Oggi gli stabilimenti Wass (la W del nome continua a ricordare il fondatore Whitehead) sono anche a Napoli e a Genova, con distaccamenti negli arsenali di La Spezia e Taranto. La produzione è rimasta quella, per così dire, tradizionale: siluri, sistemi di lancio, contromisure antisiluro per navi e sommergibili e più sofisticati sistemi sonar (in omaggio al principio per cui nell’industria bellica chi produce un’arma produce anche i sistemi per contrastarne gli effetti). Lavora in oltre 15 Paesi: il 70% della produzione va all’estero e tra i committenti ci sono Francia, Danimarca, Polonia, Australia, Malesia, India e Stati Uniti.
Tornando ai giorni scorsi, Vigneron ha incontrato l’amministratore delegato (da ieri anche presidente) di Finmeccanica Giuseppe Orsi. Ha messo sul tavolo l’interesse di Thales per le due società italiane convinto, racconta chi ha seguito il dossier, di sentirsi rispondere picche almeno in uno dei due casi. Un via libera a discutere di uno dei due affari, per il francese, avrebbe già rappresentato un bel colpo. E invece, a un Vigneron sbalordito, Orsi avrebbe risposto che perché no, se ne può parlare, in un caso come nell’altro. Anche perché pare che dentro la stessa Finmeccanica i settori in cui operano Wass e Oto Melara non siano più considerati vicinissimi al core business aziendale. Niente più che un via libera a discutere, si intende. Di cifre, offerte, modalità degli scambi non s’è ancora parlato. E chissà che la rivoluzoine ai vertici non metta altro tempo in mezzo. Poi siluri e cannoni potrebbero cambiare nazionalità. 
Oto Melara e Wass integrano componentistica elettronica della futura Selex (Selex S.I., Selex Galileo, Selex Elsag) ed i loro prodotti mantengono sempre una rilevante presenza nell’arsenale italiano. Nello scenario che va delineandosi sembra che Selex rimarrà comunque nell’orbita nazionale: ma per una ragione strategica ben precisa. All’interno del mondo Difesa, infatti, il sistema elettronico si caratterizza funzionalmente sempre secondo specifiche nazionali: per dottrina di impiego in primis; va però sottolineato che già da diversi anni in ambito Selex si orienti la scelta verso la realizzazione di integrazioni off-the-shelf (modifiche custom ed integrazione di sistemi elettronici già presenti sul mercato).
In un simile scenario, con un’industria militare praticamente al 50% in mano ai francesi Selex si ritroverà politicamente, industrialmente quasi costretta a traghettare le scelte nazionali verso apparati di produzione francese, apportando ad essi talvolta piccole modifiche (via via meno radicali, visto che con il tempo si abbatterà anche il know-how di sviluppo) secondo criteri dettati dal Ministero della Difesa Italiano.
Un po’ come il caso Alitalia, rimasta italiana solo come outsourcing di Air France allo scopo di portare i passeggeri italiani a prendere l’aereo all’aeroporto Charles De Gaulle.

Analisidifesa+Polaris
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