Intervista al coordinatore provinciale del Pdl

Il coordinatore provinciale Berlato respinge le accuse del suo vice Zanettin che rischia pure lui la censura
PDL, BASTA BARUFFE. SI LAVORI
«Prioli censurato? Fosse per me non ne avrei neppure discusso Se chiederà scusa, ritirerò il procedimento contro di lui»

«Ma quale partito-caserma? Prima semmai era così: decidevano in pochi e basta. In un mese ho convocato tre direttivi: lì si parla e si lavora. E si approvano regole. Chi le infrange se ne assume la responsabilità». Sergio Berlato, coordinatore provinciale Pdl è lontano mille miglia dalla visione del suo vice, Pierantonio Zanettin, che ieri sul Giornale di Vicenza, dopo la prima censura della storia del Pdl vicentino, si sfogava difenendendo «il diritto sacrosanto di critica». Quella censura è stata decretata lunedì, a scapito di uno dei componenti del direttivo, Luca Prioli. Ma proprio a Prioli, Berlato rivolge l'invito: «Se tornerà sui suoi passi, sono pronto a ritirare il provvedimento». La censura è scattata dopo la lettera resa pubblica con cui Prioli, leader del sindacato di Polizia Coisp, lamentava di aver appreso dai giornali del confronto tra Berlato e un altro sindacato nell'ambito di una serie di incontri sui problemi del settore sicurezza. Una scelta che a detta di Prioli, «è il frutto della guerra tra Berlato ed Elena Donazza». Ora Prioli dovrà essere giudicato dai provibiri: rischia la sospensione o l'espulsione. Berlato, Zanettin parla di un partito caserma. 
Che ne dice? «Da parte mia non c'è la volontà di trasformare il Pdl in caserma. Anzi. A parlare sono i numeri: tre le riunioni di coordinamento che ho indetto in poco più di un mese. Molte di più di quelle fatte negli ultimi due anni. E poi i numerosi provvedimenti approvati all'unanimità o a larghissima maggioranza. Tra questi la regola secondo cui le contestazioni personali si discutono all'interno del partito e non sulla stampa per evitare di danneggiare l'immagine del Pdl». 
Per questo Prioli è stato censurato? «Sì, lui stesso ha votato questa norma. Ma sia chiaro. Se non fossi stato costretto a farlo, non avrei mai attivato questa iniziativa contro Prioli. Durante il direttivo il suo caso è stato sollevato da una decina di componenti. La censura è stata messa ai voti. Il gruppo di Zanettin si è astenuto, gli altri hanno votato a favore». 
E ora che Zanettin si è sfogato sulla stampa, rischia di finire lui stesso censurato? «Le regole valgono per tutti». Quindi, sì. «Ma così non si va da nessuna parte. Io voglio che in partito capiscano che non è opportuno uscire sui media. Ci si fa del male e basta. L'azione disciplinare poi non la decidiamo noi, segnaliamo la mancanza di rispetto di una regola. Se Prioli dimosterà di aver capito l'inopportunità della sua uscita, sarò contento di stoppare il provvedimento. Basta baruffe, lavoriamo per risolvere i problemi della gente». D'accordo. Ma proprio Zanettin sostiene che il Pdl è litigioso. 
Ci sono divisioni interne che bloccano? «No. Ci sono punti di vista a volte diversi. Per questo mi sono preso l'impegno di riunire spesso il coordinamento provinciale, di creare dei gruppi di lavoro, le commissioni. Voglio un Pdl che sia diverso da quello del passato dove decidevano in pochi e gli altri venivano a sapere le cose dalla stampa. È così che si cresce. E non c'è nessuna intenzione di censurare o imbavagliare. Ci siamo dati un metodo? E allora rispettiamolo». 
Sembra che Prioli non sapesse che quella sera incriminata si sarebbe trattato il suo caso. Non si è potuto difendere. «Ripeto, la questione non è stata sollevata dal sottoscritto. Ma Prioli era stato invitato, come gli altri». 
Anche Zanettin parla di regole, “quelle basilari da adottare subito. E cioè. Prima: non taroccare i tesseramenti. Secondo: non toccare i verbali interni”. Sostiene insomma che i documenti che riguardano la riunione della censura di Prioli non rispecchino realmente i fatti. Cosa risponde? 
Primo. Sia io che Zanettin siamo stati votati durante il congresso da persone fisiche che si sono presentate munite di carte d'identità. Secondo. Per la prima volta come metodo ho introdotto l'obbligo della stesura del verbale nei provinciali. Il testo può essere modificato o corretto nella seduta successiva e poi votato. Quindi, nessun problema». 
Il problema, però, l'ha posto il candidato sindaco di Rosà che non ha ottenuto il simbolo. «Anche qui chiariamo. Non l'ho deciso io. Ma una direttiva nazionale del partito che impone che il simbolo non sia concesso ai Comuni al di sotto dei 15 mila abitanti. Anche qui abbiamo rispettato le regole. Anche qui polemiche strumentali e infondate». 
Allora è vero quello che dice Zanettin: il suo è un partito litigioso? No, ci sono inutili battibecchi. Dobbiamo smetterla e unire le forze, lavorare partendo dal cuore del partito, il coordinamento. È lì che si affrontatno e si superano le diversità di vedute. Tanti i temi ancora da affrontare come il lavoro, per esempio». 
E per farsi un quadro sentierà l'assessore regionale Donazzan? «Sarà la prima ad essere ascoltata».

Cristina Giacomuzzo - Il Giornale di Vicenza 29.03.2012

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