ANALISI/COSTO DEL LAVORO E BENZINA ALLONTANANO LA RIPRESA ECONOMICA
Risolta in qualche modo la questione Grecia, la
tensione è tornata ad affacciarsi sui mercati internazionali alla fine della
scorsa settimana con la ripresa degli attacchi speculativi contro la Spagna e
il Portogallo.
Si comincia a dubitare della validità dei conti pubblici di
Madrid. I
l titolo di Stato spagnolo a dieci anni di scadenza è così salito di
colpo fino ad un rendimento del 5,5 per cento e ha fatto segnare una
differenza, il famoso "spread", di 362 punti rispetto all'equivalente
tedesco.
C'è da preoccuparsi davvero? È tornata la paura dei debiti sovrani?
L'Italia sarà coinvolta in una nuova bufera globale nonostante la politica di
rigore prima del Governo Berlusconi e poi del Governo dei tecnici?
Questo è il primo interrogativo a carattere esterno,
anzi globale, sulla salute economica e finanziaria del nostro Paese.
Ma se
veniamo alla situazione interna, un'indagine della Confcommercio conferma il
lato oscuro del sistema Italia: il costo del lavoro, che è salito a 376
miliardi di euro all'anno per 4.400.000 imprese, e che arriva a mangiarsi da
solo il 14,2 per cento del fatturato e quasi il 60 per cento del valore
aggiunto prodotto dalle aziende. Cifra mostruosa, questa del costo del lavoro,
e tutta determinata dalla pressione fiscale. Un esempio: la tassazione di un
dipendente single ha toccato il 46,9 per cento della sua retribuzione contro la
media del 34,9 per cento dei Paesi più sviluppati che fanno parte dell'Ocse,
l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Tredici punti in
più non sono uno scherzo, sono un'enormità.
Se poi si fa un paragone tra il costo del lavoro in
Italia e quello nei Paesi emergenti, si capisce subito il motivo di tante
"delocalizzazioni", di tante fabbriche italiane che si spostano
all'estero: 33.000 euro per dipendente all'anno da noi e 17.000 in Brasile, 12.000 in Polonia, 6.000 in Romania, poco più
di 4.000 in
Cina. Chi mai può reggere a simile concorrenza?
Intanto, a certificare l'ulteriore gravita' della
situazione interna, giunge l'allarme di Confcommercio: i consumi degli italiani
sono tornati ai livelli di 14 anni fa, al 1998. E nei prossimi due anni, è
prevedibile soltanto un peggioramento. Anche i commercianti mettono il dito
sulla piaga: la pressione fortissima del fisco. Il 45,2 per cento del Prodotto
interno lordo, un dato che ci mette al quinto posto in Europa ma che in realtà
arriva al 55 per cento per chi paga effettivamente le tasse! In queste
condizioni, l'ulteriore aumento dell'Iva al 23 per cento previsto in settembre
- e praticamente confermato sabato scorso dal ministro Passera - addensa altre
nubi nere sui consumi interni che purtroppo riguardano all'80 per cento merci
tutte italiane.
Si lamentano imprenditori, artigiani e commercianti,
del fatto che a questa evidente gelata dei consumi, ancor più e definitivamente
aggravata dalla benzina al livello di due euro al litro, non corrisponde finora
alcuna misura per il rilancio e lo sviluppo. Occorre, dicono tutti, una
iniezione di fiducia per rimettere in moto una economia che appare depressa
anche dal punto di vista psicologico, senza più obiettivi.
Una spinta ulteriore alle liberalizzazioni, quelle
vere e pertanto più difficili, del sistema burocratico potrebbe far risparmiare
alle imprese, secondo i calcoli di Confcommercio, 23 miliardi di euro all'anno.
Una qualche riduzione dell'oppressione fiscale, pur nei limiti, questo è
evidente, del rigore imposto dalla crisi finanziaria globale, potrebbe dare
l'ulteriore e auspicato impulso. Ma il pacchetto di misure per il rilancio ancora
manca.
E in questa direzione si eserciterà tutto il peso e
l'influenza del Popolo della Libertà in Parlamento, come sempre portavoce delle
richieste dei cittadini nei confronti del Governo dei tecnici.
da Il Mattinale