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Schio, Cioni (FdI) attacca: “Recesso da AVA? Ipotesi irresponsabile. Il servizio pubblico non è un pallone da portarsi via quando si perde la partita”

  S i accende il confronto politico attorno all’ipotesi -circolata negli ultimi giorni - di un possibile recesso del Comune di Schio da AVA , la società pubblica che gestisce impianti e servizi ambientali dell’ Alto Vicentino . A intervenire è il capogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo Garbin , Alex Cioni , che definisce l’eventualità “politicamente grave e senza precedenti”. Secondo Cioni, la questione nasce dopo la netta sconfitta del Comune di Schio nell’assemblea dei soci, che a larga maggioranza ha approvato la fusione tra AVA e Soraris .    A fronte di quella decisione, “pensare di reagire come quel bambino che, non potendo più giocare, si porta via il pallone, è un atteggiamento che fotografa in modo inequivocabile l’inadeguatezza di questa amministrazione e della sua maggioranza” - afferma l’esponente di FdI. “Il futuro del servizio pubblico e di un impianto strategico dell’Alto Vicentino non può essere gestito con scatti emotivi. L’auspicio è che si tratti...

Nell'ordine delle cose

INDIPENDENZA DEL VENETO: ESPRESSO O INESPRESSO CHE SIA E' UN SENTIMENTO COMUNE CHE NON VA SOTTOVALUTATO

Era nell’ordine delle cose. Quando uno stato mostra di non essere più in grado di dare un futuro ai propri figli è normale che si faccia strada l’idea di far da sé. 
Far da sé, come quando le famiglie si sostituiscono allo stato sociale nel sostenere i figli che non trovano lavoro, non hanno la possibilità di metter su casa e tantomeno di fare una famiglia. Far da sé, come quando i nostri ragazzi sono costretti ad andare all’estero a cercare lavoro. Far da sé, come quei giovani ai quali, dopo aver studiato e magari ottenuto una laurea, vien detto di inventarsi un lavoro perché non ce n’è.
Allora come meravigliarsi se anche i Veneti decidono di far da sé, visto che danno allo stato molto più di quanto ricevono e che chiedono autonomia senza avere alcuna risposta?
L’esito del “plebiscito” telematico organizzato dagli indipendentisti veneti, comunque lo si voglia leggere, è un fatto: il fuoco che covava sotto la cenere fin dai tempi della Liga Veneta, prima che esistesse la Lega di Bossi, a nord-est non si era mai spento. 
E oggi con la crisi, con le fabbriche chiuse e con i suicidi, comincia a bruciare. E di legna da ardere ne ha, tanta quanta è la disperazione e la rabbia delle genti venete che sentono allentato, quasi sciolto, il vincolo che le teneva unite alle altre genti italiche. 
Un vincolo che fino alla prima guerra mondiale era stato piuttosto debole e che solo il fascismo, piaccia o no, era stato capace di consolidare nella prospettiva del comune destino degli italiani. Poi, con la propaganda comunista e l’internazionalismo proletario, con il pacifismo cosmopolita, con il consumismo, l’economicismo e la globalizzazione è andato via via allentandosi. L’Europa e la crisi hanno fatto il resto.
Certo, a chi non vive in Veneto, dove più che in altre regioni è ben radicata l’identità culturale, la lingua, la tradizione, può parer strano sentir parlare di indipendenza e del diritto all’autodeterminazione. O addirittura quasi blasfemo. Ma, sondaggio e plebisciti a parte, basta fare un giro al bar o al mercato per rendersi conto che da queste parti è un pensiero piuttosto comune. Espresso o inespresso che sia.
Paolo Danieli   

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