ENERGIA "MADE ITALY", UNA QUESTIONE NAZIONALE
L’ultimo violento rialzo del prezzo della benzina ha ravvivato
nuovamente di più il dibattito sulla questione energetica nazionale. Una
volta di più si è discusso — talvolta correttamente, spesso in modo
confuso o superficiale — di petrolieri e petrolio, di accise, di
“future”, di authority, di speculazione.
Di denaro, tanto denaro. Alla
fine, persino il governo Monti si è accorto della necessità di aprire
una nuova fase e ha promesso di fissare nella sua agenda di lavoro
quattro punti chiave: trasformazione dell’Italia in hub del gas
sud-europeo, sviluppo sostenibile delle rinnovabili, efficienza
energetica e — timidamente, molto timidamente — rilancio della
produzione nazionale degli idrocarburi.
Un impegno, quest’ultimo,
importante, decisivo.
Per comprendere l’urgenza del problema basta scorrere qualche numero:
oggi l’Italia importa oltre il 90 per cento delle sue necessità di
petrolio, dove siamo tributari da sempre, e di gas dove abbiamo
progressivamente abbandonato l’approvvigionamento interno che sino a 30
anni fa ci permetteva di coprire la metà del fabbisogno.
Nel 1980 si
estraevano 20 miliardi di metri cubi di gas “tricolore” contro gli
odierni otto e, secondo i dati di Assomineraria — l’associazione di
settore —, in 12 anni abbiamo dimezzato le nostre estrazioni di olio
passando da 24 a 12 milioni di tonnellate di petrolio annue. Costo
complessivo: una bolletta di 60 miliardi all’anno.
Il sogno di Mattei e di Giarratana (una parziale ma sostanziale
autosufficienza) è dunque svanito? No. Tutto è esaurito? Neppure. A
fronte di queste cifre drammatiche sotto i nostri piedi si cela un
patrimonio intatto di giacimenti di petrolio e soprattutto di gas: nelle
profondità (relative) dei nostri mari e nel sottosuolo della
Basilicata, la Sicilia, l’Emilia, la Lombardia e frammenti di Piemonte
vi sono le più alte — tra accertate e potenziali — riserve d’Europa.
Un
tesoro valutato in un miliardo di barili di riserve di petrolio tutto
italiano individuate e facilmente estraibili e almeno 120 miliardi di
metri cubi di gas già intercettati.
Ma non è tutto. Secondo gli esperti
le nostre riserve potenziali riservano notevoli sorprese: per il metano
si calcolano 250 miliardi di metri cubi (ovvero il fabbisogno nazionale
di quattro anni) mentre si valuta in almeno 2,5 miliardi di barili la
consistenza delle riserve petrolifere tricolori. Altre (belle) notizie
potrebbero arrivare dalle ricerche che Regione Lombardia ha autorizzato
lo scorso luglio su un’area di ben 171 chilometri quadrati estesa tra il
Lodigiano e il Cremonese.
Dagli studi di Assomineraria questa chance inaspettata potrebbe
valere al Sistema Italia «non meno di 34 mila posti di lavoro,
alimentando un’attività economica che porterebbe un vantaggio economico
notevole.
Maggiori entrate fiscali tra 800 milioni e un miliardo di
euro, con royalties aggiuntive per oltre 250 milioni l’anno e un
trascinamento sul sistema nazionale di ricerca per almeno 300 milioni.
Il tutto con una riduzione di almeno il 10 per cento della bolletta
energetica.
Insomma, uno corretto sfruttamento delle nostre risorse
energetiche (nel pieno rispetto delle procedure di sicurezza)
rappresenta un punto, e più, di Pil.
A fronte di questi dati incontrovertibili la politica italiana stenta
a dare risposte credibili. Anzi. Sempre più prigionieri della sindrome
anti sviluppista — dal famigerato “Nimby” (Not in My Back Yard, non nel
mio giardino) stiamo ormai scivolando nel “Banana” (Built Absolutely
Nothing Anywhere Near Anything, non fare mai niente da nessuna parte
vicino a nulla) —, i vari governi (compresi quelli di centro-destra…)
hanno preferito ignorare il problema o, addirittura, peggiorare la
situazione.
Si tratta di un problema politico ma, soprattutto, di uno
spartiacque culturale che segna confini e punti di rottura anche in aree
considerate tradizionalmente omogenee o, almeno, contigue. Un discorso
importante su cui vale la pena di tornare.
Emblematica a proposito la decisione del ministro Prestigiacomo,
presa sull’onda emotiva seguita al disastro del golfo del Messico, di
spostare il limite delle esplorazioni ed estrazioni da 5 a 12 miglia
della costa. Una norma che Claudio Descalzi, presidente di
Assomineraria, non esita a definire errata e ingiustificata nelle
motivazioni sia tecniche che ambientali. «Nel Golfo del Messico si
estrae in acque profonde, in un contesto difficile. In Italia l’attività
off-shore si svolge a profondità assai ridotta; in Adriatico si opera a
una profondità media di almeno 50 metri e si arriva al massimo a 150.
E
la presenza di gas elude ogni rischio di contaminazione. Tant’è che
decenni d’attività nel suolo e nei mari italiani non hanno mai prodotto
incidenti».
In ogni caso il decreto Prestigiacomo è solo l’ultimo, inutile
ostacolo alla produzione nazionale; l’avvio di ogni nuova infrastruttura
estrattiva necessita infatti di ben 400 autorizzazioni. Una follia.
Lo
scorso luglio il ministro Passera — grazie al sostegno dei settori
politici più attenti all’interesse nazionale — si è impegnato a
affrontare e risolvere entro l’autunno almeno in parte la questione
energetica entro l’autunno.
Nelle prossime settimane il ministero
presenterà infatti un piano “strategico, coerente e unitario” da
trasformare in proposte normative sin dai prossimi mesi.
Tra gli
obiettivi immediati indicati da Passera vi sono la semplificazione
amministrativa, l’abbassamento dei costi dell’energia, la revisione dei
limiti delle perforazione petrolifere.
Un passo avanti. Forse.
Massimo Corsaro — uno dei referenti principali dello schieramento
modernizzatore in Parlamento — lo spera, anche se non cela il suo
scetticismo. «I propositi di Passera sono assolutamente condivisibili.
Ricordo solo che ogni volta che qualcuno ha provato rafforzare
l’autonomia energetica dell’Italia ha dovuto subire ostilità occulte: da
Mattei a Berlusconi vi sono troppe ombre nella nostra storia.
Non
vorrei che dopo gli “incidenti” aerei e le sbirciatine dal buco della
serratura, ora si facessero prevalere i localismi dei “nimby” nostrani.
In ogni caso dall’energia passa la speranza di rilancio del sistema
Italia». Ieri come oggi la politica energetica è una questione
nazionale.
Marco Valle