SUL CASO ILVA, PAGANO I LAVORATORI, I LORO FAMIGLIARI E L'INTERO PAESE
Quanti posti di lavoro sono a rischio per il caso
Ilva?
All'inizio si era parlato di 5 mila a Taranto, più l'indotto: si trattava
però degli addetti all'area più inquinante.
Ora che la magistratura ha disposto
il sequestro non solo degli impianti, ma dell'intera produzione passata,
presente e futura, i conti cambiano in misura esponenziale e drammatica.
I
dipendenti tarantini salgono a 11.500 più 3.000 dell'indotto. Il blocco della
produzione riguarda poi 1.760 dipendenti dell'acciaieria di Genova rifornita
dall'Ilva di Taranto e 1.200
in Piemonte. Ma la siderurgia è un ciclo integrato dalla
produzione agli scarti: secondo la Confindustria rischiano il posto, in tempi brevissimi, 25 mila lavoratori.
Non
solo. Il presidente Giorgio Squinzi dice che con un simile precedente
giudiziario "nessun investitore
straniero metterà più piede in Italia e quelli che ci sono prenderanno la via
dell'estero: si tratta di 100 mila posti di lavoro in tutta Italia".
Più le relative famiglie.
In altri termini, la disoccupazione, che in questo
ultimo anno sta salendo all'11 per cento potrebbe arrivare rapidamente al
dodici. Avvicinandoci sempre più ai paesi in crisi del profondo Sud.
E a quel
punto sarà inutile, anzi controproducente, aver firmato prontamente il fiscal
compact, rassicurato la Germania su tutti i fronti, promesso il pareggio di
bilancio. Solo con una politica di conti pubblici e tasse non si lavora, non si
mangia, e ovviamente non si consuma.
Per questo la sottovalutazione del
problema da parte del governo è ancora più evidente.
Il problema dell'Ilva è stato delegato al ministro
dell'Ambiente Corrado Clini: non poteva da solo opporsi al protagonismo della
magistratura, alle iniziative spesso discutibili dell'azienda e alle ambiguità
dei sindacati, Cgil in testa.
Che sull'Ilva ha scelto una linea ben diversa
rispetto a quella durissima adottata per la Fiat (dove è stata tirata in ballo
la Costituzione), lasciando da soli gli operai di Taranto a chiudersi dentro i
cancelli.
Totalmente assente il ministero dello Sviluppo - Corrado Passera è in
Cina - soltanto ora ci si è decisi a portare il caso Ilva a palazzo Chigi,
riconoscendone quindi il carattere nazionale del problema.
Come del resto si fa
in ogni parte d'Europa e del mondo, se Francois Hollande minaccia la nazionalizzazione
dello stabilimento Arcelor nella Mosella. E del resto le leggi ambientali
italiane sono più restrittive di quelle europee, e nella Ue è un procedimento
standard, l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) a decidere l'apertura e
la chiusura delle produzioni.
Se si fa costantemente riferimento all'Europa
perché stavolta no? Sull'Ilva sono tutti in ritardo, e molti hanno anche la
coscienza sporca. Il governo, che perso dietro alla Germania, si muove soltanto
ora.
La Cgil che ha preferito mobilitarsi per due anni per 19 operai di
Pomigliano ma non per le decine di migliaia dell'Ilva.
La sinistra nazionale e
locale, con il governatore della Puglia Nichi Vendola che si occupa
esclusivamente del ballottaggio del centrosinistra (negoziando posizioni di
potere) e dei diritti del gay. Infine la magistratura non può agire come se si
occupasse di un reato minore e non di un problema nazionale per il destino
industriale dell'Italia, per il lavoro e per quello che la sinistra da salotto
chiama, quando vuole, il bene comune.