Il Centro Studi Polaris, non solo Think Tank ma motore di ricerca politica

 
DAL CONVEGNO PROMOSSO DAL CENTRO SUDI POLARIS: IL RIASSUNTO DEGLI INTERVENTI
 
“Una sinergia sindacale-imprenditoriale-politica snella ed efficace può tramutarsi nel soggetto futuro (sindacalrivoluzionario post litteram, potremmo definirlo) .
Crediamo che a questo scopo sia necessario costituire un apposito Centro Studi Lavoro che sia trasversale e che coinvolga sindacati, forze sociali, categorie e che s’impegni a tracciare linee operative concrete ed efficaci”.
Con questa proposta il Centro Studi Polaris ha chiuso l'incontro dell'8 novembre, tenutosi a Palazzo Grassi, Roma, con interventi di sindacalisti, giornalisti, imprenditori, economisti, sul tema Il governo delle banche. Una repubblica implosa sul lavoro.
Un convegno durato oltre quattro ore con una partecipazione trasversale con affluenza apposita da altre città italiane (Trieste, Bari, Faenza, Torino).
Ecco il sunto degli interventi.
 
TESTIMONIANZE DIRETTE DAL FRONTE DEL LAVORO
Gianluigi Marchione (ex Vodafone)
“Abbiamo subito una serie di licenziamenti dalla Vodafone a causa della mobilità internazionale (ovvero della delocalizzazione) in aperta rottura della legge italiana. La vertenza legale avrà luogo tra mesi e mesi; noi non siamo mai rientrati in azienda e non percepiamo un centseimo”.
Paolo Gangi (cassaintegrato EUTELIA)
“La famiglia Landi acquisì Edisontel (Eutelia) senza nememno anticipare  soldi e poi altre aziende in crisi che la fecero accedere alla borsa permettendole di appropriarsi di beni immobiliari significativi (in particolare a Milano dove parliamo di immobili inseriti nel pacchetto Expo); dopo il declino determinato da indagini della Finanza, si è avuto il commissariamento con intervento di consulenti strapagati (alcuni sorprendentemente provenienti dalla fallita Finmec, come il consulente Vidal).
Dopo una serie di scorpori Eutelia tramite il manager Mancini sotto la sigla Cloud Italia la liquidazione si è indirizzata a vantaggio Finmec. Attualmente il giudice deve aprire la causa fallimentare di una società attiva, che produceva venti milioni di euro all’anno.
120 persone si trovano ufficialmente in cassa integrazione ma di fatto giacciono in un limbo (dall’Inps non percepiscono nulla ancora). Se l’azienda verrà liquidata entreranno in mobilità senza diritto alla reintegrazione.
Clauditalia, intanto, violando i patti firmati sta:
a) assumendo chi vuole e non nel bacino;
b) rimandando sine die i corsi per i cassaintegrati;
c) negando la possibilità delle applicazioni della Cloud.
Nessuna parte politica ha raccolto il segnale drammatico”.

Viviana Muti (ex lavoratrice OMNIA Network)
“Omnia Network è un Call center nato  agli inizi del duemila; dal 2007 venne stabilizzato con il baratto dell’assunzione di diverse migliaia di lavoratori in cambio di fondi pubblici. Ma c’era una truffa di fondo, che si ripercosse anche sulle quotazioni in borsa per guadagni speculativi da decine di milioni di euro. Poi di colpo tremila licenziamenti. Si è mosso solo il sindacato; la Consob ha inferto multe, ma solo nel 2011 alle società di revisione e alle banche che avevano gestito l’intera questione. Nessuno però si è mosso se non i sindacati, allora ne deduco che non si tratta di un caso, ma che siamo in presenza di un sistema che approfitta e anche di una mentalità errata da parte del cittadino comune che non sa non vuole sapere.
Questo paese ha bisogno di una rivoluzione che deve partire da ognuno di noi.
Ho una tradizione di sinistra, socialista ma credo che oggi la lotta di classe vada superata verso la partecipazione”.

INTERVENTI DI SINDACALISTI, IMPRENDITORI, GIORNALISTI ED ECONOMISTI
Ettore Rivabella (Ugl)
“Gli interventi precedenti hanno dimostrato come il capitalismo abbia superato se stesso in un’opera che con l’impresa non ha più nulla a che fare e i cui effetti pagano i lavoratori.
La licenza e la valenza del capitalismo transnazionale sono formidabili. E’ un panorama di delocalizzazioni a domino (chi accoglieva a mano d’opera ridotta lavoro dall’estero magari già ora cede il passo a paesi più poveri).
Il movimento sindacale ha giocato di rimessa negli ultimi venti anni in cui si sono progressivamente ridotte le possibilità di tutela. Si è accresciuto un capitalismo che non ha neppur più distribuito i redditi.
Il manager viene tutelato mentre il lavoratore è considerato un costo.
Se nel ‘39 il rapporto tra un dirigente e un operaio era 15 a 1, oggi è 500 a 1
Un vero e proprio gioco al massacro da cui non esce vivo nessuno tranne le lobbies che dominano mondialmente.
Bisogna modificare:
a) i rapporti di forza in azienda, riaffermando la centralità del lavoro
b) una rappresentanza politica che non corrisponda ai partiti, vinti e venduti
c) una nuova giustizia sociale in cui s’inserisce la partecipazione, anche nei costi e nei sacrifici purché sia in tutto il resto e non il sacrificio dei lavoratori e i guadagni di una casta.
Anche il mercato va rivisto perché o ci sono regole del gioco, anche per i competitors o non ci sono e non possiamo doverle rispettare solo noi.
E’ necessario costruire la responsabilità sociale dell’impresa.
Ma se il consumatore è tutelato non lo è il produttore, non lo sono la sicurezza e la sanità del lavoratore né quella dell’ambiente”.

Davide Velardi (Segretario federale Cisal)
“Il problema più grosso è però la nostra classe politica, alle nostre critiche sulla previdenza ci hanno chiesto di abbassare il volume e di non far tanto chiasso.
Ma voi spostate di quarant’anni in avanti lo stipendio attuale di mille euro e la pensione sociale di Berlusconi (cinquecentosedici). Fra quarant’anni il lavoratore percepirà praticamente la pensione sociale, dunque che lavora a fare?
Tra quarant’anni non percepirò quello che ho versato (33% del mio stipendio ogni mese). E già ora non appena vai in pensione entri dritto dritto nella fascia dell’indigenza.
Ma siamo tutti concentrati sul quotidiano e non si coglie un minimo di prospettiva da nessuna parte.
Col governo dei tecnici poi è crollato tutto: non ascoltano niente e nessuno. Gli effetti della riforma sindacale saranno disastrosi e ancora non hanno concluso l’operazione distruttiva che hanno in mente.
Interloquire con loro è complicatissimo.
Non guardano oltre il proprio naso.
La forza lavoro poi è del tutto assente dal Parlamento, le componenti sindacali vengono marginalizzate e ci avviamo verso una situazione di paralisi drammatica.
Le donne, poi, saranno estromesse perché troppo costose per le maternità.
Il dramma sono i tecnici, privi di buon senso e di realismo. Sono un incubo”.

Lanfranco Pace (Il Foglio)
“Noi siamo stanchi come voi, come i lavoratori, malinconici e frustrati i sindacati.
Qual è il problema? Se dobbiamo difendere il posto di lavoro facciamo una battaglia sacrosanta ma pur sempre di retroguardia. La cogestione poi è stata sconfitta in Italia perché manca la cultura, non siamo di cultura tedesca. La nostra è storia di scontri interni, non abbiamo fatto le conquiste che dovevamo fare e abbiamo impiegato decenni per ottenere quello che in altri paesi si è conquistato in breve tempo.
Ma la domanda oggi è: cosa si può fare per difendere il posto di lavoro? Nulla, lo scontro è destinato a perdere.
La forza gigantesca del capitalismo è il suo moto eterno e ubiquo che strangola e ci disintegra. Dovremmo imporre la creatività, l’innovazione, la tutela al centro di tutto.
Dobbiamo rimettere questo al centro, accompagnando il processo di sradicamento con un reddito sociale (di cittadinanza).
Dovremmo scrivere un programma minimo che tagli la testa a tutto questo per andare incontro alla realizzazione di ognuno senza l’angoscia.
Lo statuto dei lavoratori, per il quale io, figlio di socialisti e militante comunista, ho lottato da ragazzo, oggi è una palla al piede. Oggi parliamo di altra società, di altri operai, di altra epoca.
Bisogna battersi per una società meno statalista burocratica fatta di comunità, organizzata intorno ai Comuni con la riduzione progressiva delle ingerenze dello Stato”.

Roberto Rosseti (Rai)
“Non funziona niente da nessuna parte nel mondo; non c’è l’isola felice.
Questa è la crisi dell’uomo. I politici rubano? Ma gli altri, i semplici cittadini, di solito non rubano solo perché non possono. Tutti rubano è la difesa dei politici colti con le mani nel sacco; così hanno sostituito i politici con i tecnici che ci hanno portato situazioni peggiorative. Con il potere che viene ceduto da tutti. Berlusconi ha cambiato tre volte posizione su Monti in 10 giorni.
Fantastico, da rovesciare, insostituibile. Che pensare?
E intanto ecco alcuni dati dell’Istat di settembre
-2,3% pil
disoccupazione  +  10,02% rispetto ad agosto,  + 4,7% dal 2011.
Iva dal 21 al 22%
Inflazione + 3,2%
Cassa integrazione lavoro 10% in più rispetto al 2011 in deroga, 47% in ordinaria
Consumi la peggior variazione negativa dal 1946 (-6,5% procapite) tengono solo telefonia e informatica.
Chiusura aziende italiane 24.500
Apertura di aziende con dirigenti e proprietari extracomunitari 13.000
Esercizi extracomunitari cresciuti dal 2% al 10% (al primo posto il Marocco, al secondo la Cina: nell’edilizia invece abbiamo nell’ordine Albania, Romania, Tunisia.
Agli italiani non conviene più investire.
Grazie Governo Monti!
A fronte a questi dati prendiamo gli emolumenti dei managers intorno all’esecutivo. Due per puro valore emblematico.
Il figlio della Cancellieri ha percepito 3,6 milioni di liquidazione per 14 mesi di lavoro dalla Fonsai di Ligresti. Il ministro Passera 36 milioni, trentasei, dalla Banca San Paolo”.

Luigi Mastrosanti (Uilca)
“Quando avete indicato il governo delle banche non sapevo se si dovesse discutere delle difficoltà di gestione del settore credito o del governo dei banchieri.
I bancari subiscono come gli altri le conseguenze del governo dei banchieri.
Il mio settore è indubbiamente privilegiato come categoria.
Ma ci sono arretramenti nella mia stessa categoria e se la linea avanzata retrocede allora immaginiamo la retroguardia!
Oggi, dopo la liberalizzazione del settore, siamo internazionalizzati: il centro strategico è a Parigi, lo finanza a Londra.
Cos’è che viene meno adesso? Il concetto di lavoro che non dev’essere una merce, almeno non solo una merce.
Non troveremo soluzione né nel particolarismo né nell’edificazione di barriere”.

William De Vecchis (Uil)
“Dall’operato del governo tecnico ho avuto le conferme dei preallarmi di tutte le letture che avevo fatto in passato su riviste come Orientamenti & Ricerca.
Quando hai una dirigenza con quest’impostazione culturale avrai per forza dei mostri che costruiranno una società di soli consumatori. E’ vero che sta fallendo il sistema-uomo, basti assistere a trasmissioni con la De Filippi per verificarlo, ma il problema è che ha abdicato la Polis verso la tecnocrazia. Ci sono dei colpevoli: la politica, i sindacati, ma c’è soprattutto un assassino preciso che incarna e rappresenta  un sistema. Vengo oggi dal blocco della Roma-Fiumicino: lavoratori  italiani licenziati in tronco per assumere filippini che hanno accettato condizioni da schiavismo.
Si va verso lo schiavismo e reagiscono solo quelli colpiti direttamente, gli altri aspettano, non si sa cosa.
Qui bisogna fare la riforma culturale mettendo al centro il popolo e la responsabilità dei gestori politici, incentrate nell’amor patrio, altrimenti la gestione scade in camorra.
Questa è una società stordita dal 1945.
Il sangue contro l’oro: lo avevamo già visto!
Non ce la possiamo cavare con la fantasia al potere. Se al lavoratore licenziato, cassaintegrato o esodato io gli dico sì fantasioso, quello mi mena: gli dovrei dire facciamo le barricate.
Ma il popolo non partecipa, solo chi è colpito personalmente lo fa, ma prima o poi tocca a tutti.
Un esempio di come siamo allo sfascio: hanno appena tolto un’ora assistenza ai bambini disabili. La risposta del dirigente asl nel mio comune (Fiumicino) è speriamo che non si senta male in quest’ora!
E’ implosa la società.
Bisogna buttare giù tutto e ricominciare da zero.
Un progetto serio per rifondare la Nazione.
Il popolo, la polis, i valori di appartenenza: si deve ripartire di qui”.

Pietro Sarbassi (Fast)
“Il mio è un sindacato autonomo fortemente radicato nelle categorie (trasporti).
Finora stiamo facendo un cahier de doléance.
Ma nel nostro settore ci siamo presi non poche responsabilità e abbiamo ottenuto anche risultati sui quali dovremmo perseverare e che i grandi sindacati dovrebbero prendere ad esempio.
Rimasi colpito per la vertenza Alitalia; solo pochi anni prima se ci avessero detto che si rischiavano di licenziare 17.000 lavoratori sarebbe successa l’iradiddio e ora invece niente.
Oggi a sciopero dei trasporti dichiarato per il 16 siamo rimasti solo noi.
Dovremmo ragionare ed evitare il conflitto tra i poveri, ripartire dalle regole che non sono più omogenee per tutti. Non c’è unità sindacale.
Non c’è volontà. Non c’è coerenza, non c’è compartecipazione.
Abbiamo da lavorare in un settore che solo apparentemente è nazionale: Prendiamo le Ferrovie: nel trasporto merci ci sono cinquantadue aziende ferroviarie.
Serve un altro atteggiamento da parte di tutti per affrontare le vertenze”.

Augusto Grandi (ilsole24ore)
“I dati dell’Istat dell’altro giorno sono stati considerati troppo ottimistici dall’Unione Europea, dunque andiamo sempre peggio.
La UE si domanda giustamente come faccia l’Italia a mantenere gli accordi del 2014 se va con questo trend.
Che prospettive diamo al lavoro? Non si può competere su bassi costi (Vietnam, Cina, Bangladesh ci fagocitano).
Le aziende non investono nella qualità. Ci dicono che bisogna aumentare le ore di lavoro ma noi lavoriamo già venti giorni l'anno più dei tedeschi.
Non è questo il problema, ci raccontano balle.
Il problema semmai sta negli investimenti,
Le imprese non investono né possono farlo con questo carico fiscale, questo è il problema.
E peggioreranno con le contrazioni dei consumi e quindi degli acquisti.
Siamo in un circolo vizioso dal quale usciremo disintegrati”.

Raffaele Morani (esperto sicurezza sul lavoro)
“Dopo un anno di disoccupazione faccio nuovamente il tecnico della sicurezza sul lavoro, ho in tasca la tessera della Cgil, non più quella del mio partito da cui sono stato allontanato per le mie aperture di dialogo.
Qui o accettiamo o rovesciamo le ricette della Bce che se venissero applicate da un comune cittadino, rammentiamolo, si chiamerebbero usura.
Dobbiamo puntare ad una partecipazione pubblica nell’economia, che sarà forzatamente diversa da prima ma comunque è indispensabile.
Se continuiamo ad abbassare i costi del lavoro e a rincorrere un’asta al ribasso perderemo sempre perché ci sarà sempre qualcuno che lavorerà a meno soldi di noi.
A Faenza, la mia città, la Golden Lady era in attivo ma ha chiuso perché delocalizzando in Serbia spendeva meno. E ora le lavoratrici sono in scadenza della cassa integrazione e non hanno prospettive.
Le soluzioni del passato si sono dimostrate insufficienti: dobbiamo passare dalla resistenza al contrattacco.
Lo Stato forse non può essere l’unico attore ma deve essere un attore e non lasciare tutto al Mercato.
La Bce dovrebbe tornare a finanziare gli Stati e gli investimenti pubblici; né può essere un tabu l’ipotesi della moratoria del debito.
I lavoratori devono tornare ad essere protagonisti anche con la partecipazione, come scritto in un articolo della Costituzione nata dalla Resistenza che mi piacerebbe fosse difeso invece di aggrapparsi strenuamente ad una norma transitoria.
Il contratto nazionale di lavoro deve tornare ad assumere centralità e non dobbiamo accettare che i singoli contratti siano demandati alle aziende.
Infine la sicurezza: il 16 ottobre il governo di legge semplificazioni bis modifica anche il decreto 81 sulla sicurezza del lavoro nel cui nome per coloro che lavorano meno di cinquanta giorni in un’impresa verranno adottate procedure semplificate di formazione, informazione e sorveglianza sanitaria. Ovvero verranno abolite.
E saranno esonerate dal documento di prevenzione dei rischi quelle attività considerate di basso rischio (DVR)”.

Giampaolo Bassi (economista)
“Prospettive devastanti: nei prossimi anni previsti 22 milioni di disoccupati in Europa. I problemi sono più seri per l’Italia che subisce la concorrenza cinese e asiatica nella manifattura.
Delocalizzando abbiamo perso solo nel 2009 trentacinquemila posti di lavoro ma in maggioranza, e qui sta la sorpresa, verso paesi europei dunque per ragioni strutturali e non per semplici costi di mano d’opera. Parliamo ovviamente della pressione fiscale che ha impedito alle imprese d’investire e d’innovare riducendo al contempo le capacità d’acquisto e i consumatori, dunque i consumi.
Da noi mancano lucidità, consapevolezza, visione strategica.
Noi abbiamo regalato tecnologie a paesi vicinorientali in diretta concorrenza con noi, in paesi dove ad esempio le olive le raccoglie, gratis, l’esercito come in Tunisia e abbiamo potenziato così la concorrenza alla nostra economia in modo insensato.
Sempre in Tunisia nel 2005 avevamo milleduecento aziende italiane che producevano lì il “made in Italy”.
Così abbiamo ragionato e ne raccogliamo giustamente i frutti.
Ora poi siamo a Tangentopoli 2: la seconda puntata sarà la distruzione del patrimonio privato. E tutto cià senza che sia tagliata realmente la spesa pubblica che rappresenta il 55% del nostro pil.
Mentre il conto investimenti è oggi quasi a zero.
Se non s’inizia a fare impresa, se non si separa il credito ordinario, se non si applica protezione per le nostre imprese (come fanno invece praticamente tutti gli altri) non potremo che scomparire sommersi”.

Alessandro Fadda (imprenditore)
“Credo di essere il nemico numero uno per molti colleghi che hanno parlato prima di me.

Sono imprenditore e non me ne vergogno. Non è che siano sempre e solo gli imprenditori a guadagnare e i lavoratori a perdere.
La mia azienda è l’azienda di tutti quelli che ci lavorano; noi ora stiamo assumendo. E abbiamo assunto anche ragazzi usciti dal liceo e persone in mobilità, gente con l’età di mio padre.
Il problema dei lavoratori di oggi è che vogliono solo i diritti e non i doveri.
Gli imprenditori non sono gli aguzzini, secondo il mio punto di vista sono i primi precari; nelle pmi si chiedono spesso prestiti per pagare i salari e l’iva.
Credo che lo statuto dei lavoratori sia oggi davvero roba vecchia, dev’essere cambiato, ma mettiamoci intorno a un tavolino per farlo.
Non è un problema pagare una persona ma deve portare risultati; ognuno qui fa l’avvocato e non il giudice di se stesso. L’azienda non è il demonio.
Le piccole e medie imprese non sono le multinazionali.
C’è un’enorme differenza e bisogna saper distinguere”.

Raimondo Carlo Maria Grassi (architetto e costruttore)
“E’ unn piacere partecipare ai vostri lavori in un momento così confuso che un giorno sarà forse visto come quello di una grande transizione.
Qualcuno ha deciso che la prima repubblica non andasse più bene e l’ha interrotta bruscamente per vararne una seconda che non è andata meglio.
Servirebbe una classe dirigente particolarmente capace; io faccio l’imprenditore e tocco i rami dell’edilizia e delle energie rinnovabili, il primo si è completamente bloccato e il secondo che avrebbe un potenziale è fattivamente osteggiato da questo governo.
C’è una grandissima disonestà intellettuale.
Le energie rinnovabili sarebbero state una grande opportunità laddove gli altri settori di mercato sono saturi.
Diecimila addetti, tredici miliardi d’indotto, produzione di energia pulita: ma ministri legati ad altri interessi boicottano il settore.
Il lavoro? Possiamo dire, purtroppo che il lavoro è morto in Italia.
Diritti e doveri; siamo schiacciati da mille dovere e da una pressione fiscale che non farà mai risollevare questo paese (tra diretta e indiretta è il 60%).
Con un pizzico di malizia dobbiamo pensare che c’è una regia occulta che ci vuole morti. Serve che l’Italia produttiva cambi velocità e acquisisca coscienza al fine di diventare classe dirigente del Paese che è tra i migliori del mondo”.

Stefano Conti (segretario nazionale Ugl telecomunicazioni)
“Credo che gli interventi che mi hanno preceduto abbiano offerto un quadro abbastanza chiaro, ma chiamiamo le cose con il loro nome, altrimenti non ne usciamo.
Siamo in una guerra, qualcuno ci ha dichiarato guerra; dei poteri sovranazionali.
Da quando i banchieri sono entrati nei cda delle imprese queste hanno iniziato a speculare ma qualcuno glielo ha permesso.
E le esternalizzazioni, gli appalti? Come i contractors, lo Stato privatizza, delega e declina le responsabilità.
Le aziende quotate in borsa poi, quando dichiarano tagli le azioni schizzano e qualcuno ne trae vantaggi immediati; non accadrebbe se si facessero investimenti non a resa immediata.
Ma non è così che si ragiona adesso.
Non si può essere né  investitori né competitivi peraltro in un libero mercato che non è libero per niente.
E i dogmi ideologici dell’estremista Confindustria sono una palla al piede.
Noi dobbiamo essere riformisti con le aziende a prospettiva come le pmi e in piena conflittualità con le multinazionali che calpestano gli interessi sociali e nazionali”.

Roberto Bizzarri (economista)
“Mi occupo di consulenze e di costituzione di banche private.
Il nostro Stato è fallito tecnicamente e parecchi anni fa.
I numeri vengono interpretati da chi li eroga a proprio uso e consumo; i dati dell’Istat lasciano spesso molto perplessi e fuorviano. Comunque i dati del pil e del debito pubblico (aumenta di dieci miliardi ogni mese) ci spiega siamo circa a duemila miliardi; è il mutuo che dobbiamo pagare per i prenditori, il 56% all’estero e questo grazie a Draghi.
Un plusvalore prodotto dal pil ha senso solo se va poi a finire nelle tasche di qualcuno, dai suoi produttori (cittadini, imprese); ma così significa solo che lo Stato non è più in grado di sostenere se stesso.
Lo stimolo per l’economia dev’essere l’opposto della pressione fiscale.
Bisogna creare dei moltiplicatori di sviluppo a livello statale o regionale che consentano all’economia di ripartire; ma non lo si può fare perché abbiamo delegato il potere di emettere moneta a un ente terzo (Bce); o se ne esce o si chiede una moratoria.
A giugno scorso dopo tre anni della crisi i depositi nelle banche sono di 1250 miliardi di euro (400 più dell’inizio della crisi). La liquidità dunque c’è ma è la politica che ci domina che crea paralisi e crisi.
E’ importante costituire una banca sociale diffusa sul territorio che abbia la possibilità di gestire i soldi dei propri soci per ricominciare a fare banca: prestiti personali, alle aziende, alle imprese, a mutui sociali.
Venticinquemila soci con duecento euro in un anno e mezzo e s’inizia a parlarne”.

Gabriele Adinolfi (capo redattore della rivista Polaris)
“La fotografia è impietosa. Ma non basta definire il nemico - che esiste perché se ti dichiarano guerra vuol dire che sono nemici – né identificare il potenziale amico; non è utile neppure contrapporre un programma ideale che, per bello che sia, s’imbatterà sempre in uno migliore sul piano teorico, ma che avrà valore solo alla prova pratica, che oggi manca. Bisogna capire innanzitutto cosa si può fare e come.
Oggi possiamo dire che sono state smantellate più o meno tutte le conquiste del XX secolo. E ci troviamo in una contingenza inedita che non è assimilabile agli inizi del secolo scorso ma che, in quanto a cultura e a devastazione sociale, presenta forti analogie con quell’epoca.
L’aggressione sociale e culturale ci ha riportati ad un quadro simile a quello di allora quando non vi era da sperare nulla dalle istituzioni e la gente doveva organizzarsi da sola; con mutuo soccorso, cooperative e finanziamenti d’impresa.
Era l’epoca del socialismo: una fucina da cui poteva nascere e nacque di tutto: comunismo, socialdemocrazia e fascismo.
In quell’epoca, un po’ come in regioni dove l’industrializzazione è giunta male e in ritardo, come l’America Latina, la lotta sociale è stata al contempo lotta di classe e lotta di popolo.
Bisogna vedere che taglio e che prospettive si riuscirà a darle.
Oggi è evidente che tutte le forze produttive, salariate o imprenditoriali che siano, sono sotto attacco degli speculatori e degli espropriatori che incaricano delle loro razzie governi d’occupazione definiti tecnici.
Oggi noi dobbiamo innanzitutto organizzarci in autonomia e in sinergia.
Il gap con le entità istituzionali cresce ogni giorno in quanto esse sono svuotate ogni giorno di più di valenze, poteri e significati.
Così possiamo prevedere che i partiti presto non saranno altro che espressioni massmediatiche di reality show.
I sindacati, burocratizzati, elefantiaci, prigionieri di logiche parassitarie, non stanno meglio.
E’ solo nel crocevia tra le forze vive, produttive, creatrici e costruttive che si potrà riconcepire il soggetto politico o, se vogliamo, la politica come soggetto.
Una sinergia sindacale-imprenditoriale-politica snella ed efficace può tramutarsi nel soggetto futuro (sindacalrivoluzionario post litteram, potremmo definirlo) .
Credo che a questo scopo sia necessario costituire un apposito Centro Studi Lavoro che sia trasversale e che coinvolga sindacati, forze sociali, categorie e che s’impegni a tracciare linee operative concrete ed efficaci.
E anche a favorire la comunicazione, che latita.
Perché tutte le vittorie – di retroguardia quanto si voglia ma sacrosante ed esaltanti – con licenziamenti bloccati di forza o con riassunzioni imposte alle multinazionali, tutte quelle imprese che formano il palmares di qualche federazione sindacale, non hanno valore nella società dello spettacolo se non vengono conosciute da tutti e non fanno paradigma.
Idem per le aziende solidali come quella appunto di Alessandro Fadda.
Io propongo di partire di qui.
E di agire inoltre, con consapevolezza, nella direzione dell’autonomia  e dall’autosufficienza, come indicato da Roberto Bizzarri, per iniziare a contrastare gli effetti di quel vero e proprio piano Morgenthau per l’Italia (e per altre nazioni) che oggi viene applicato qui da noi dal commissario Monti.
Nessuno aiuta chi non si aiuta da solo.
Quando il potere è impegnato a distruggere, rivoluzionario è costruire”.

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