Pasquetta al lavoro. Deputato ex FdI An si scaglia contro chi si lamenta

CON FARE SPREZZANTE LI INVITA A LICENZIARSI: "SE VOGLIONO STARE A CASA SI LICENZINO"        di Alex CIONI
Sono passati 5 anni dal cosiddetto "Salva Italia" voluto nel 2012 dall'ex primo ministro Mario Monti, arrivato a sedersi a Palazzo Chigi dopo il golpe architettato dalla speculazione finanziaria internazionale ai danni del  Governo Berlusconi. Un decreto con il quale il liquidatore della Bocconi arrivò a liberalizzare gli orari delle aperture dei negozi permettendo l'avvio delle aperture indiscriminate nei giorni festivi.
Ho scritto varie volte in merito, mantenendo sin da subito una linea di aperta ostilità verso questa norma.  
Nel giorno di Pasqua mi imbatto in un post su Facebook scritto da un deputato milanese (ex Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale), il quale scrive: "Sei impiegato in un centro commerciale, scioperi perché non vuoi lavorare a Pasqua. Devi essere licenziato, così stai a casa pure a pasquetta".
Ecco a voi la destra peggiore, la destra de "è il mercato... bellezza": sono i medesimi poi che in altri contesti parlano di famiglia e dell'importanza di creare dei canali sociali utili a valorizzarne il ruolo nel tessuto nazionale. Tra l'altro, i dati economici palesano che la liberalizzazione non ha creato un volano virtuoso, né sul fronte occupazionale, né su quello dei consumi (non compri di più perché hai più ore per lo shopping ma solo se hai soldi da spendere).
E' fuori discussione che ci sono dei lavori che offrono dei servizi pubblici essenziali, ma se è essenziale avere il centro commerciale sempre aperto (il commercio di vicinato non potrà mai reggere la concorrenza con questi colossi della grande distribuzione), allora dovremmo tenere aperto tutto: scuole, asili, banche, uffici pubblici, fabbriche, abolendo di conseguenza le festività. Fine della discussione.
Invece, prima dell'entrata in vigore della liberalizzazione, le aperture domenicali erano già previste annualmente in un calendario regionale. Le Regioni stabilivano in deroga alle chiusure, un numero congruo e concertato con le categorie economiche per delle aperture festive in particolari periodi dell'anno, e relativamente alle necessità di alcuni territori a vocazioni turistica di mantenere il serivizio a beneficio dei cittadini. Quindi, di cosa stiamo parlando?. 
I politici che si permettono di usare con disinvoltura la parola "licenziamento", dovrebbero essere presi a frustate nelle pubbliche piazze. Non si possono paragonare, per esempio, i furbetti del cartellino con questi lavoratori.
Indubbiamente alcuni "signori" con la qualifica di onorevoli c'hanno la faccia come il sedere: si permettono di dare lezioni ai poveri mortali quando percepiscono lauti stipendi senza produrre in cambio nulla di positivo per la comunità (lo dimostrino se non è vero). 
Il deputato in questione parla di licenziamento utilizzando questo termine con facile scioltezza, però ci si chiede il motivo per cui l'onorevole non si è licenziato dopo aver lasciato il gruppo per il quale è stato eletto nel 2013 (poi sono gli stessi che propongono il vincolo di mandato). 
Lo capisco, è difficile tornare tra i comuni mortali, com'è difficile rinunciare a migliaia di euro al mese scendendo da quello scalino che ti permette di fare la morale ai cittadini-lavoratori, come del resto è facile fare i froci con il posteriore degli altri (il mondo gay mi scuserà il paragone ma calza a pennello).  
Ordunque, è naturale che quei stessi lavoratori che per poche centinaia di euro al mese pretenderebbero di avere il "privilegio" di trascorrere le festività pasquali, di S. Stefano o qualche domenica all'anno con i propri cari, "populisticamente" si chiedano: qual è la ragione per cui non possiamo beneficiare del medesimo diritto di cui godono i deputati?. Come dargli torto
 

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