IVA, SCONGIURARE UN ULTERIORE AUMENTO DELL'IMPOSTA
Dopo l'Imu, l'Iva, nel senso che la seconda missione
del Pdl al governo è quella di impedire l'aumento previsto dal governo Monti a
partire da luglio.
Gli effetti complessivi del ritocco dell'Iva sono infatti
controproducenti, producendo una contrazione dei consumi che fa diminuire il
gettito anziché aumentarlo.
E' l'esperienza a dimostrare che in un'economia
come la nostra, caratterizzata da un'elevata pressione fiscale, un aumento
delle aliquote Iva comporta sempre una riduzione del gettito.
Se l'Iva viene
diminuita, invece, si determina un aumento di consumi, dovuto alla diminuzione
dei prezzi, e quindi un incremento del gettito come effetto finale.
Dunque, l'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento
dal primo luglio può e deve essere scongiurato, perché si tratta di uno di
quei classici casi in cui l'aumento dell'aliquota del tributo ne riduce il
gettito più del suo ammontare e crea numerosi danni collaterali. Se l’aumento
si trasferirà sui prezzi, i consumatori ridurranno gli acquisti, perché i loro
redditi non aumentano e il loro già modesto risparmio non può essere
ulteriormente ridotto.
Se l’aumento
invece ricadrà sulle imprese che decidessero di tenere invariati i prezzi, una
parte di esse sarà costretta a chiudere, perché i margini di guadagno sono
ormai all'osso, mentre l’altra aumenterà le vendite in nero.
Per bloccare
l'aumento previsto sono necessari circa 2,1 miliardi di euro per il 2013 e
circa 4,2 miliardi per il 2014,
in caso contrario le famiglie italiane saranno gravate
da un maggior costo di 135 euro l’anno, come stimato dall’Ufficio Studi di
Confcommercio, cosa che potrebbe ridurre ulteriormente i consumi nel caso in
cui l’onere dell’imposta venga “scaricato” sui prezzi dai produttori.
Se il governo Letta non interverrà secondo la linea
indicata dal Pdl, c'è il serio rischio di far crollare definitivamente i
consumi con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma
anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda
interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie
italiane è stata del 4,3 per cento, una variazione negativa molto superiore a
quella registrata nel biennio 2008-2009 quando, al culmine della recessione, i
consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%.
Il Mattinale