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Schio, Cioni (FdI) attacca: “Recesso da AVA? Ipotesi irresponsabile. Il servizio pubblico non è un pallone da portarsi via quando si perde la partita”

  S i accende il confronto politico attorno all’ipotesi -circolata negli ultimi giorni - di un possibile recesso del Comune di Schio da AVA , la società pubblica che gestisce impianti e servizi ambientali dell’ Alto Vicentino . A intervenire è il capogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo Garbin , Alex Cioni , che definisce l’eventualità “politicamente grave e senza precedenti”. Secondo Cioni, la questione nasce dopo la netta sconfitta del Comune di Schio nell’assemblea dei soci, che a larga maggioranza ha approvato la fusione tra AVA e Soraris .    A fronte di quella decisione, “pensare di reagire come quel bambino che, non potendo più giocare, si porta via il pallone, è un atteggiamento che fotografa in modo inequivocabile l’inadeguatezza di questa amministrazione e della sua maggioranza” - afferma l’esponente di FdI. “Il futuro del servizio pubblico e di un impianto strategico dell’Alto Vicentino non può essere gestito con scatti emotivi. L’auspicio è che si tratti...

Iva, tanto paga sempre pantalone

        IVA, SCONGIURARE UN ULTERIORE AUMENTO  DELL'IMPOSTA
 
Dopo l'Imu, l'Iva, nel senso che la seconda missione del Pdl al governo è quella di impedire l'aumento previsto dal governo Monti a partire da luglio. 
Gli effetti complessivi del ritocco dell'Iva sono infatti controproducenti, producendo una contrazione dei consumi che fa diminuire il gettito anziché aumentarlo. 
E' l'esperienza a dimostrare che in un'economia come la nostra, caratterizzata da un'elevata pressione fiscale, un aumento delle aliquote Iva comporta sempre una riduzione del gettito. 
Se l'Iva viene diminuita, invece, si determina un aumento di consumi, dovuto alla diminuzione dei prezzi, e quindi un incremento del gettito come effetto finale.

Dunque, l'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento dal primo luglio può e deve essere scongiurato, perché si tratta di uno di quei classici casi in cui l'aumento dell'aliquota del tributo ne riduce il gettito più del suo ammontare e crea numerosi danni collaterali. Se l’aumento si trasferirà sui prezzi, i consumatori ridurranno gli acquisti, perché i loro redditi non aumentano e il loro già modesto risparmio non può essere ulteriormente ridotto.

Se l’aumento invece ricadrà sulle imprese che decidessero di tenere invariati i prezzi, una parte di esse sarà costretta a chiudere, perché i margini di guadagno sono ormai all'osso, mentre l’altra aumenterà le vendite in nero. 
Per bloccare l'aumento previsto sono necessari circa 2,1 miliardi di euro per il 2013 e circa 4,2 miliardi per il 2014, in caso contrario le famiglie italiane saranno gravate da un maggior costo di 135 euro l’anno, come stimato dall’Ufficio Studi di Confcommercio, cosa che potrebbe ridurre ulteriormente i consumi nel caso in cui l’onere dell’imposta venga “scaricato” sui prezzi dai produttori.


Se il governo Letta non interverrà secondo la linea indicata dal Pdl, c'è il serio rischio di far crollare definitivamente i consumi con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie italiane è stata del 4,3 per cento, una variazione negativa molto superiore a quella registrata nel biennio 2008-2009 quando, al culmine della recessione, i consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%. 

Il Mattinale

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