IV novembre, l'anniversario della Vittoria ieri mutilata oggi dimenticata

1918, LA VITTORIA MUTILATA OGGI DIMENTICATA NEL CENTENARIO DELL'INIZIO DELLE OSTILITA'

"Quanto scritto col sangue degli eroi non si cancella con la saliva dei politici" (cit.)


Ricordare con il giusto spirito le vicende che portarono al IV novembre del 1918, ponendo lo sguardo a chi combatté nelle trincee del Piave o dell'Isonzo o in quelle sul Grappa o del Pasubio, è un gesto doveroso che dovrebbe andare al di la delle personali convinzioni storiche ed ideologiche sul conflitto e sulla visione Risorgimentale di unità nazionale che ispirò molti degli italiani dell'epoca e che per essa si fecero combattenti in armi. 
Indubbiamente, come in tutte le storie di guerra tra Stati e Nazioni, rimangono sul campo contraddizioni e verità artefatte, storie di interessi e di egoismi. E' altrettanto certo che fu una Vittoria mutilata e per certi versi tradita, dalla quale però la parte migliore d'Italia non smise la divisa e il moschetto per una vita panciafichista e arrendevole ma si riorganizzò per divenire ancora una volta l'artefice del proprio destino e di quella nazione che dopo secoli si riscoprì unita dalle Alpi a quel Mediterraneo tornato mare nostrum.

Alex Cioni

Lettera testamento ai figli di Nazario Sauro. Venezia, 20 maggio 1915



«Caro Nino,


tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d'italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà. Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre.»

« Cara Nina,

non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte sulle labbra; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada, che li farà proseguire su quella di suo padre: ma non mi resta a dir altro, che io muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere d’italiano. Siate pur felici, che la mia felicità è soltanto quella che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo. Nazario. »

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