DECRETO DIGNITA. ANCHE SE NON ANCORA IN VIGORE, I PRIMI DATI CERTIFICANO UN AUMENTO DEI LICENZIAMENTI

RENDERE LA VITA DEI LAVORATORI MENO PRECARIA DOVREBBE ESSERE L'OBIETTIVO DI OGNI GOVERNO  MA E' VERAMENTE COLPA DEL GOVERNO QUESTO CALO DEI RINNOVI?  di Alex CIONI 

I primi numeri relativi alla riforma sulla riduzione delle proroghe concesse alle aziende per i contratti precari con i quali sono assunti i lavoratori, sembrano essere decisamente negativi. Il decreto dignità non è entrato ancora in vigore ma dai primi dati sembra che le aziende abbiano già detto la loro rispedendo al mittente la riforma del Governo.
Infatti il mese di agosto ha registrato un calo, rispetto allo stesso periodo del 2017, sia dei nuovi contratti a tempo determinato, sia delle assunzioni a termine, sia degli assunti con un contratto di somministrazione (oltre 40mila posti di lavoro persi). Pare quindi evidente che una trasformazione in massa dei contratti a termine a tempo indeterminato non ci sia stata. Ma che fine hanno fatto i 40 mila lavoratori che non sono riusciti a ottenere un rinnovo del contratto a tempo indeterminato? Con ogni probabilità parte di costoro stano lavorando in nero, altri avranno aperto una partita Iva pur rimanendo lavoratori subordinati, continuando perciò a fornire la stessa prestazione all'azienda ma come lavoratori autonomi.
La domanda che mi pongo è questa: è colpa del legislatore che ha ridotto il tempo per i rinnovi dei contratti precari a tempo determinato, o c'è una parte della classe imprenditoriale che non si comporta in maniera propriamente pulita? Se il lavoratore con il contratto precario lo lincenzi per "assumerlo" con partita iva o in nero, a chi è ascrivibile la responsabilità di una scelta che va contro i più elementari diritti del lavoratore?
Fino a qualche anno fa si sosteneva che, una volta assunto, il lavoratore non può essere più licenziato: affermazione che poteva essere vera ma non lo è più oggi. Difatti, tra le varie opzioni, esiste il "licenziamento per giustificato motivo oggettivo", il che vale a dire che in caso di crisi aziendale o per delle ragioni di riassetto della produzione, ossia a una migliore e più efficiente distribuzione del personale, anche al fine di tagliare i costi di produzione, un dipendente può essere lasciato a casa senza grossi problemi. 

Se le cose stanno in questo modo, possiamo ancora sostenere senza cadere nel ridicolo che la responsabilità del calo dei rinnovi è del legislatore che ha imposto dei limiti all'abuso dei contratti a tempo determinato? La risposta mi sembra ovvia.

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