ENI: L'ATTACCO DEGLI IMPIANTI IN LIBIA E LA PRIORITA' DI UNA POLITICA ENERGETICA
Le guerre affrettate e sbagliate generano spesso guai imprevedibili. In Libia il rovesciamento del regime di Gheddafi potrebbe nelle prossime ore complicare le strategie energetiche italiane.
A RadioUno, l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni – intervistato da Vittorio Cota nella trasmissione “L’Economia prima di tutto” – ha affermato che “proprio
in queste ore il terminal di Mellitah (in Libia ndr) da cui parte il
gasdotto Greenstream, che raggiunge la Sicilia, è sotto attacco da parte
di manifestanti che ci stanno spingendo a chiudere
completamente le esportazioni verso l’Italia”. Per Scaroni questo grave
imprevisto non dovrebbe creare però problemi di approvvigionamento per
l’Italia.
Ma chi manifesta davanti agli impianti dell’Eni? Secondo l’Afp sono rappresentanti dell’etnia amazigh che reclamano dallo Stato libico i diritti
di lingua e culturali che erano riconosciuti dalla vecchia Costituzione
alle minoranze etniche (oltre agli amazigh, anche toubou, e tuareg).
Insomma rivendicano diritti che Gheddafi riconosceva loro e l’attuale governo riconosciuto dalle democrazie occidentali nega.
Il nodo libico viene al pettine proprio mentre il governo Letta,
neanche tanto velatamente, sta valutando l’eventualità di ulteriori
privatizzazioni che ridurrebbero il controllo statale dell’Eni. Scaroni
nell’intervista ha ripetuto temi già affrontati in una intervista sul
Corsera: la crescita industriale europea per il manager passa dalla
riduzione dei costi energetici rispetto ai competitore globali.
E qui c’è la riflessione sulla necessità di valutare la possibilità di approvigionarsi con lo shale gas,
proposta che contiene anche il rebus dell’impatto ambientale
dell’estrazione: “Se mi soffermo per un attimo sulle aziende aggiungo
che faccio fatica ad immaginare un futuro industriale di crescita di
investimenti e di posti di lavoro in Europa con un differenziale di
costi dell’energia così elevato. La cosa più logica che viene in mente
di fare è far sì che anche l’Europa viva la rivoluzione dello shale gas
che è all’origine dell’abbassamento dei costi degli Stati Uniti”.
L’alternativa è dipendere esclusivamente dalla Russia “l’unico fornitore
in grado di darci la quantità di gas di cui necessitiamo ai prezzi che
ci permetterebbero di essere competitivi”.
Nonostante la precarietà degli orizzonti del governo Letta, maggioranza e opposizione parlamentare dovrebbero indicare la definizione di una politica energetica in grado di differenziare al massimo le fonti approvigionamento e di abbassare i costi di produzione per le industrie. La
via sovranista passa da qui. L’alternativa è rassegnarsi ad un ruolo
marginale dell’Italia nel mondo, ridotta alla caricatura di “sole pizza e
mandolino”.