Crediamo che nessuno metta in discussione il valore di una giornata di festa e condivisione culturale, come quella organizzata dalla comunità senegalese e da altre comunità straniere presenti a Schio. Iniziative di questo tipo possono rappresentare un’occasione di dialogo e conoscenza reciproca, se gestite con equilibrio e buon senso. Sempre, però, tenendo presente che va preservata prima di tutto la nostra identità culturale, che deve restare centrale e preminente di fronte all’avanzare del multiculturalismo.
La destra, per storia e cultura, è da sempre dalla parte dell’identità dei popoli. Crediamo nel valore delle tradizioni, delle radici, delle specificità culturali che rendono ricco e variegato il mondo.
Proprio per questo, riteniamo che non sia il multiculturalismo la strada da seguire, ma una progressiva assimilazione, possibile solo quando esistono condizioni favorevoli e una reale volontà di condivisione dei valori fondamentali della nostra società.
Un processo che richiede tempo, equilibrio e realismo, e che risulta particolarmente difficile – se non impossibile – quando si ha a che fare con culture e religioni profondamente distanti dalla nostra.
L’iniziativa di domenica, ha avuto anche il merito di riuscire a coinvolgere numerose comunità straniere presenti nel territorio.
Non è un dettaglio da poco, considerando che queste realtà vivono, spesso ripiegate su sé stesse, con scarsi rapporti tra loro e talvolta attraversate da tensioni e contrapposizioni interne.
Parliamo di fratture che esistono prima ancora del confronto con la comunità che li ospita, e che nascono da differenze etniche, religiose o culturali consolidate nei paesi d’origine e replicate anche qui. Favorire momenti di dialogo tra queste comunità può essere utile, ma senza farsi illusioni: la pacifica convivenza tra gruppi così diversi non si ottiene con una festa all’anno, ma con un serio lavoro di integrazione fondato su regole chiare, rispetto reciproco e adesione ai valori della società che li accoglie.
Fatta questa premessa, quello che ci lascia perplessi è il finale del post di Marigo pubblicato sulla sua pagina politica, nella quale - con un tono a metà tra la rivendicazione e la difesa - sente il bisogno di sottolineare che “non è finto buonismo”, “niente assistenzialismo”, “nessuna mancanza di rigore”.
Una precisazione che nessuno aveva richiesto, ma che suona come un tentativo maldestro di mettere le mani avanti.
Questo modo di comunicare, sotto la vernice del politically correct, tradisce un disagio di fondo.
Se davvero si crede nel valore di certe iniziative, non c’è bisogno di arrampicarsi sugli specchi per dire che “non hanno colore politico”. Perché, quando si insiste troppo a negare il buonismo, è spesso lì che si annida, nascosto sotto l’etichetta dell’inclusività a ogni costo.
È giusto rispettare chi vive e lavora nella nostra città, ci mancherebbe altro, ma l’integrazione non può prescindere da una visione chiara basata su diritti e doveri, reciprocità e rispetto delle nostre regole. Ma se Marigo avesse voluto davvero essere credibile e prendere le distanze dal buonismo politicamente corretto, avrebbe dovuto -da assessore al sociale prima e da sindaco oggi- almeno tentare di impedire che Schio diventasse un punto di concentrazione per sedicenti profughi, come accaduto nel centro della città.
Avrebbe potuto far rispettare l’impegno preso tra le parti (cooperative e prefettura), che prevedeva un tetto massimo di due richiedenti asilo ogni 1000 abitanti.
Invece ha preferito voltarsi dall’altra parte, accusando noi di “allarmismo” solo perché chiedevamo una cosa semplice: il rispetto degli accordi sottoscritti.
Un atteggiamento che dimostra, nei fatti, la sua inclinazione favorevole all’accoglienza indiscriminata, perfettamente in linea con l’impostazione buonista tipica della sinistra sull'immigrazione.