Passa ai contenuti principali

Articolo più recente

Schio – Via Verdi, Fratelli d’Italia: Va bene la sperimentazione, ma serve una regia complessiva. La nostra proposta: via Manin come accesso regolato da sud

L a questione della viabilità in via Verdi, utilizzata da anni come scorciatoia verso il centro storico nonostante il divieto ai non residenti in vigore dal 2010, torna al centro del dibattito politico.  I dati raccolti dal Comune a maggio 2025 parlano chiaro: oltre 1.000 veicoli al giorno, con il 70% che supera i 30 km/h. La giunta Marigo ha annunciato che dal 1° settembre al 31 dicembre sarà sperimentata l’inversione del senso di marcia, con entrata da via Manin/via San Gaetano e uscita verso via della Pozza, per ridurre i flussi non autorizzati. Per il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia si tratta di un passo che può essere utile ma insufficiente se viene non inserito in un piano organico. “Via Verdi va alleggerita e lo diciamo da anni - afferma il capogruppo Alex Cioni - ma questo va fatto all’interno di una visione più ampia e funzionale della viabilità di accesso al centro. Può andare la fase di sperimentazione, ma serve congiuntamente una reale alternativa per chi arriv...

Nell'ordine delle cose

INDIPENDENZA DEL VENETO: ESPRESSO O INESPRESSO CHE SIA E' UN SENTIMENTO COMUNE CHE NON VA SOTTOVALUTATO

Era nell’ordine delle cose. Quando uno stato mostra di non essere più in grado di dare un futuro ai propri figli è normale che si faccia strada l’idea di far da sé. 
Far da sé, come quando le famiglie si sostituiscono allo stato sociale nel sostenere i figli che non trovano lavoro, non hanno la possibilità di metter su casa e tantomeno di fare una famiglia. Far da sé, come quando i nostri ragazzi sono costretti ad andare all’estero a cercare lavoro. Far da sé, come quei giovani ai quali, dopo aver studiato e magari ottenuto una laurea, vien detto di inventarsi un lavoro perché non ce n’è.
Allora come meravigliarsi se anche i Veneti decidono di far da sé, visto che danno allo stato molto più di quanto ricevono e che chiedono autonomia senza avere alcuna risposta?
L’esito del “plebiscito” telematico organizzato dagli indipendentisti veneti, comunque lo si voglia leggere, è un fatto: il fuoco che covava sotto la cenere fin dai tempi della Liga Veneta, prima che esistesse la Lega di Bossi, a nord-est non si era mai spento. 
E oggi con la crisi, con le fabbriche chiuse e con i suicidi, comincia a bruciare. E di legna da ardere ne ha, tanta quanta è la disperazione e la rabbia delle genti venete che sentono allentato, quasi sciolto, il vincolo che le teneva unite alle altre genti italiche. 
Un vincolo che fino alla prima guerra mondiale era stato piuttosto debole e che solo il fascismo, piaccia o no, era stato capace di consolidare nella prospettiva del comune destino degli italiani. Poi, con la propaganda comunista e l’internazionalismo proletario, con il pacifismo cosmopolita, con il consumismo, l’economicismo e la globalizzazione è andato via via allentandosi. L’Europa e la crisi hanno fatto il resto.
Certo, a chi non vive in Veneto, dove più che in altre regioni è ben radicata l’identità culturale, la lingua, la tradizione, può parer strano sentir parlare di indipendenza e del diritto all’autodeterminazione. O addirittura quasi blasfemo. Ma, sondaggio e plebisciti a parte, basta fare un giro al bar o al mercato per rendersi conto che da queste parti è un pensiero piuttosto comune. Espresso o inespresso che sia.
Paolo Danieli   

Articoli più letto dell'ultimo mese