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Schio – Via Verdi, Fratelli d’Italia: Va bene la sperimentazione, ma serve una regia complessiva. La nostra proposta: via Manin come accesso regolato da sud

L a questione della viabilità in via Verdi, utilizzata da anni come scorciatoia verso il centro storico nonostante il divieto ai non residenti in vigore dal 2010, torna al centro del dibattito politico.  I dati raccolti dal Comune a maggio 2025 parlano chiaro: oltre 1.000 veicoli al giorno, con il 70% che supera i 30 km/h. La giunta Marigo ha annunciato che dal 1° settembre al 31 dicembre sarà sperimentata l’inversione del senso di marcia, con entrata da via Manin/via San Gaetano e uscita verso via della Pozza, per ridurre i flussi non autorizzati. Per il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia si tratta di un passo che può essere utile ma insufficiente se viene non inserito in un piano organico. “Via Verdi va alleggerita e lo diciamo da anni - afferma il capogruppo Alex Cioni - ma questo va fatto all’interno di una visione più ampia e funzionale della viabilità di accesso al centro. Può andare la fase di sperimentazione, ma serve congiuntamente una reale alternativa per chi arriv...

Libero scambio di prenderla in c...


IL TRATTATO TRANSATLANTICO DARA' IL COLPO DI GRAZIA A QUEL CHE RESTA DELL'ITALIA

Un accordo di libero scambio di circa 29 capitoli, anche se alcune fonti parlano di 24, numeri difficilmente quantificabili dal momento che sulla materia è stato mantenuto il più stretto riserbo in seno alla pubblica opinione. Un accordo in base al quale le grandi multinazionali (anche del farmaco) potranno aumentare i profitti dei loro prodotti grazie anche all’allungamento oltre i 20 anni, dei brevetti medici, una “vantaggio” (solo per loro) che aumenterà o diminuirà la disponibilità di una molecola su determinati mercati. 
A rivelarlo, recentemente, i leaks di Julian Asssange il quale ha anche promesso una “taglia” di 100 mila dollari a chi sia in grado di fornire informazioni e particolari sull’accordo.

Un accordo il cui fine sarebbe quello di eliminare gli ostacoli al libero scambio ma che invece toglierà (anche) le regole, rigide, che controllano la sicurezza del consumatore e la salute dell’ambiente in alcune zone del globo perchè, in nome della semplificazione estrema, saranno ritenuti “ostacoli”.
Stiamo parlando dell’accordo Transatlantico (TTIP) e di quello Transpacifico (TPP), una deregulation che parte dal commercio ma che rischia di travolgere anche voci come le normative sulla sicurezza alimentare. Un pericolo per chi, come l’Italia fa del cibo, e soprattutto del cibo di qualità, una sua bandiera oltre che un suo trampolino di (ri)lancio dell’economia nazionale. 
Capiamo di cosa si tratta. Se possibile
Un esempio per capire a cosa andiamo incontro venga direttamente dalla tracciabilità del prodotto. Secondo le regole statunitensi, infatti, uno dei pochissimi obblighi per l’etichettatura è l’inserimento delle informazioni nutrizionali, ma non della provenienza del prodotto il quale potrebbe tranquillamente arrivare da zone in cui l’uso di pesticidi da anni giudicati cancerogeni, è ancora permesso. In virtù della nuova normativa, sulle nostre tavole potrebbero arrivare prodotti la cui origine non è minimamente rintracciabile, con buona pace del DOC, del IGP , delle oltre 270 tipicità italiane finora tutelate e dei più banali concetti dello slow food, oltre che della razionalità. 
Insomma un vantaggio che apparentemente sarebbe solo per gli Usa, nazione che forse sta intuendo in maniera sempre più forte la necessità di dover trovare un mercato di sbocco che possa essere più vantaggioso rispetto ai classici canoni di scambio.
Un esempio?
Negli Usa la carne può essere trattata con il cloro utilizzato come antimicrobico cosa che in Europa è vietata da quasi 20 anni. Lo stesso dicasi per l’uso dell’ormone della crescita. Senza contare l’uso degli Ogm, gli organismi geneticamente modificati: la questione sulla loro eventuale nocività è ancora aperta e, nel dubbio, le nazioni europee hanno evitato la possibilità di usarle all’interno dei rispettivi confini nazionali, anche solo per pura precauzione, mentre invece negli Usa tutto è lecito fino a che non ne è dimostrata la tossicità. Un approccio diametralmente opposto che si evince anche dalla normativa che regola il settore alimentare, punta di diamante non solo per l’Italia ma anche per nazioni come la Francia, la stessa che avrebbe delle conseguenze particolarmente nefaste, soprattutto dalla concorrenza sleale di chi introdurrebbe prodotti di qualità più scadente a prezzi particolarmente bassi, delimitando, di fatto, l’eliminazione dal mercato dei piccoli produttori. 
Ci conviene?
Da ricordare, inoltre che dal 2000 la sicurezza sugli alimenti è regolata dal Libro bianco della Commissione europea. Tutte norme che potrebbero non essere sufficientemente forti di fronte alla clausola Isds (Investor (Stoccolma: INVE-A.ST - notizie) to state dispute settlement) in base alla quale una società che si dovesse ritenere danneggiata dalle suddette normative, avrebbe la possibilità di rivalersi legalmente sullo stato che gliele impone e, quindi, ottenere un risarcimento. Un principio che permette alla multinazionale di turno di minacciare direttamente una nazione, la cui sovranità verrebbe di fatto limitata, per far valere il proprio tornaconto. 
A tutto discapito delle buone intenzioni di chi, magari, vorrebbe preservare non solo la salute dei suoi cittadini, ma anche la genuinità del proprio prodotto. Genuinità che proprio dagli Usa è messa a repentaglio in un mercato, quello del falso alimentare italiano, che solo tra i confini di Washington vale 20 miliardi.

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